Il contratto di convivenza
Dopo aver analizzato i diritti previsti dalla Legge 76/2016 (qui il precedente post), torniamo a parlare di convivenza, soffermandoci sul c.d. contratto di convivenza, strumento previsto dalla medesima legge (dal comma 50 al 64) e volto a disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla vita in comune.
Va premesso innanzitutto che si tratta di un’opportunità e non di un dovere, in quanto i conviventi hanno la facoltà di svolgere il loro rapporto anche in assenza di una formale regolamentazione.
Il contenuto del contratto
È possibile disciplinare diversi aspetti patrimoniali che riguardano:
- le modalità di partecipazione alle spese comuni, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
- la scelta del regime patrimoniale della comunione dei beni;
- le modalità di uso della casa adibita a residenza comune (sia essa di proprietà di uno solo dei conviventi, di entrambi i conviventi o condotta in locazione);
- le modalità per la definizione dei reciproci rapporti patrimoniali in caso di cessazione della convivenza al fine di evitare, al momento della rottura, discussioni e rivendicazioni;
- la facoltà di assistenza reciproca, in tutti i casi di malattia fisica o psichica (o qualora la capacità di intendere e di volere di una delle parti risulti comunque compromessa) e/o la designazione reciproca ad amministratore di sostegno.
Sono, inoltre, ritenute ammissibili clausole volte alla regolamentazione dei rapporti patrimoniali inerenti il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli, posto che incombe in ogni caso su entrambi i genitori l’ obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole. Si tratta, comunque, di clausole sempre suscettibili di revoca o modifica se ciò fosse richiesto nell’interesse dei figli (da considerarsi sempre preminente rispetto agli accordi intervenuti tra i conviventi).
Il contratto non può essere sottoposto a termine o condizione e si risolve per: i) accordo delle parti; ii) recesso unilaterale; iii) matrimonio o unione civile tra i conviventi stessi o tra un convivente ed altra persona; iv) per intervenuto decesso di uno dei contraenti.
Ma come fare se si intende stipulare un contratto di convivenza?
Per la redazione del contratto di convivenza – che richiede la forma scritta con scrittura privata autenticata o atto pubblico, a pena di nullità – occorre rivolgersi ad un avvocato o ad un notaio, che dovranno attestarne la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico e trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe, ai fini dell’opponibilità ai terzi.
Il professionista verificherà preliminarmente lo stato libero delle parti e chiederà copia della dichiarazione anagrafica della convivenza depositata in Comune.
Non esiste un costo fisso, in quanto si tratta di un contratto a contenuto variabile, che sarà redatto dal professionista in base alle esigenze e alle aspettative dei conviventi. Anche il trattamento fiscale varia a seconda del contenuto degli accordi.
Quali conseguenze?
Dal contratto di convivenza nascono dei veri e propri obblighi giuridici a carico delle parti che lo hanno sottoscritto. Pertanto la violazione degli obblighi assunti con il contratto di convivenza legittima l’altra parte a rivolgersi al Giudice.
Da ultimo, va ricordato come la legge non riconosce alcun diritto alle coppie conviventi in materia di eredità e pensione di reversibilità, né nulla può essere previsto al riguardo nel contratto di convivenza. Si potranno, quindi, valutare, caso per caso, altri strumenti per tutelare il convivente (testamento, polizze vita, trust…).
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