EDUCARE ALL’EMOTIVITA’
Come aiutare i bambini a riconoscere e gestire le loro emozioni.
Come intuirete dal titolo, intendo proseguire scrivendo di emozioni, ma aprendo la “mia rubrica” anche ad un altro ambito, che spero vi interessi, che è quello dell’infanzia, della genitorialità, e del legame tra l’una e l’altra.
Mi rivolgo certamente alle mamme e ai papà, ma non solo: anche ai futuri genitori che desiderano “mettersi avanti”, o agli educatori, agli insegnanti ed anche a tutti gli altri lettori curiosi di saperne di più.
Quando un individuo viene al mondo dispone già di una serie di emozioni innate che vivono e si accendono dentro di lui in maniera spontanea. Possiamo dire allora che l’educazione emotiva inizia fin dal primo respiro, anzi, in letteratura si trovano numerose ricerche che sostengono che già durante la gravidanza il modo in cui si sente la mamma, le parole che dice al suo bambino, il tono di voce utilizzato, la musica che ascolta, i gesti che gli dedica lasciano un segno importante nel cervello emotivo del bimbo; è ovvio che è, in realtà, dai primi mesi di vita in poi che, attraverso la relazione con le figure di riferimento, il bambino costruisce le sue competenze emotive.
Sono quindi i genitori, o chi per loro, i responsabili dell’educazione emotiva dei propri figli. Si tratta di qualcosa di molto affascinante e difficile allo stesso tempo.
Oltre ad essere una professionista, sono anche mamma di due bambini, mi ritrovo a gestire una casa, e a barcamenarmi come tutte/i voi con i numerosissimi impegni quotidiani e, spesso, nonostante le mie conoscenze riguardanti la psicologia, mi ritrovo a fare fatica, a voler dire la parola giusta al momento giusto e con la giusta tonalità ai miei figli per poi capire di non riuscirci sempre, perché troppo stanca o di fretta per esempio.
Questa parentesi per dirvi che, nonostante i suggerimenti che vi darò, tenete anche a mente che siete esseri umani e, in quanto tali, commetterete qualche errore, non pretendete di essere perfetti, piuttosto informatevi, leggete, sperimentatevi e se talvolta sbagliate cercate semplicemente di capire il perché e di porre all’errore commesso la vostra attenzione, evitando di colpevolizzarvi troppo; fatene tesoro e consideratelo come un insegnamento per la volta successiva.
Detto ciò, cosa vi serve per aiutare i vostri figli a gestire meglio ciò che provano?
John Gottman, nel suo libro “Intelligenza emotiva per un figlio”, sostiene che la prima cosa da fare di fronte a un bambino il cui comportamento ci sembra “eccessivo” o di fronte a un forte scatto di rabbia o ad un’improvvisa tristezza è sforzarsi di immedesimarsi in lui/lei per capire che cosa può aver generato quella reazione. Un bambino molto arrabbiato magari è geloso del fratellino oppure è molto teso perché a scuola è stato escluso da qualche gioco…
Quando vi sembra di essere sintonizzati sull’emozione del bambino provate a considerare il momento critico di vostro figlio come una buona occasione per insegnargli ad auto controllarsi e a comprendere ciò che gli sta succedendo: se scoppia a piangere o lancia i giochi perché arrabbiato evitate di innervosirvi e urlare (lo so, non è facile!), ma restate tranquilli, non ignorate o minimizzate ciò che prova perché necessita di sentirsi compreso da voi per poter capire che emozioni sta vivendo.
Ora è il momento dell’ascolto empatico: mettetevi all’altezza del bambino, parlategli con calma e ascoltate i suoi stati d’animo facendogli capire che lo comprendete e soprattutto, in questa fase, evitate accuratamente critiche e soluzioni. La tendenza di noi genitori è spesso quella di offrire subito consigli sul da farsi, quasi a “rattoppare” lo strappo, come se, noi per primi, avessimo difficoltà a sostenere la rabbia o la tristezza dei nostri figli.
Ad esempio: una mamma vede suo figlio molto triste e cupo e gli domanda che cos’ha. Il bambino dice che il giorno seguente dovrà andare alla festa di compleanno di due amici con i quali ha litigato. La mamma, istintivamente, probabilmente gli direbbe di non preoccuparsi, di parlare con loro e cercare di chiarirsi e che tutto andrà per il meglio.
Così facendo però tenderebbe a minimizzare la tristezza e la preoccupazione del figlio inviandogli un messaggio implicito del tipo “sei triste e ti stai preoccupando per una cosa che si risolve con poco!!”. Per essere empatica, la mamma in questione, dovrebbe farsi raccontare nei dettagli l’accaduto e fare domande al figlio circa quello che prova, come “Questa cosa ti preoccupa molto, giusto?”
Successivamente ricordatevi di aiutare i bambini a dare un nome alle emozioni che provano: si è visto che questo ha un effetto rasserenante sul sistema nervoso e consente di dare una veste precisa a un sentimento o a più emozioni che spesso risultano confuse, spaventose e quindi difficili da “dominare”. Seguendo l’esempio precedente la mamma potrebbe dire “Ti capisco, anche io in quella situazione mi sarei sentita molto triste. E capisco anche perché sei preoccupato per la festa di domani”.
Infine, è importante aiutare i bambini a trovare la soluzione al problema. Sarebbe utile incoraggiare il piccolo a generare da solo qualche idea, magari inscenando un gioco di fantasia su ciò che è successo (utilizzando peluches o bambole, oppure disegnando) e chiedendogli cosa farebbe il pupazzetto per stare meglio o per far capire all’altro il suo punto di vista. Con i bambini funzionano molto bene anche le storie: costruitene una insieme sulla base di ciò che è successo, inventandovi i personaggi e gli scenari, ma utilizzando le parole, i comportamenti e le emozioni provate dal vostro bimbo nell’episodio realmente accaduto. Chiedetegli poi di terminare la storia, e se serve aiutatelo, per far sì che il protagonista (lui/lei) possa stare meglio.
Spero che il post possa esservi utile e, anche su questo tema, aspetto le vostre domande e suggerimenti rispetto a qualche argomento che vi piacerebbe leggere riguardante i bambini e la genitorialità.