BOOKLOVERS | “Per dieci minuti”, di Chiara Gamberale

Un libro per cambiare

Dott.ssa Annalisa Amadesi

Con questo articolo vorrei dare il via ad una sorta di rubrica in cui utilizzare alcuni libri, e i loro contenuti, per riflettere insieme su alcune tematiche psicologiche che essi sfiorano.

“Per dieci minuti” è un libro scritto da Chiara Gamberale, alcuni anni fa.

I suoi romanzi sono spesso autobiografici, un po’ come questo; lei li definisce libri “autofiction”, ovvero storie in cui l’io narrante ha caratteristiche o eventi di vita in comune all’autore/autrice.

Lo stile della Gamberale è sicuramente semplice e leggero, ma non per questo privo di spunti di riflessione: nei suoi libri si coglie spesso una tendenza all’introspezione e alla sfera della psicologia, come in questo romanzo, in parte perché lei stessa ne ha tratto, nel corso della sua vita, giovamento.

“Per dieci minuti” rappresenta il diario di un mese della vita di Chiara, la protagonista, la quale ha vissuto tre eventi difficili che la conducono in una sorta di baratro, di vuoto incolmabile: il marito, a Dublino per lavoro, la chiama per dirle che vuole rompere con lei e che forse ha capito di stare meglio senza di lei, le viene tolta la rubrica su un giornale, alla quale teneva moltissimo e, infine, si ritrova a dover lasciare il paese natio (Vicarello) per andare a vivere a Roma, che fatica a sentire come “casa sua”.

Chiara si sente persa, disperata, sente un vuoto enorme, nonostante la presenza di amici e parenti che la circondano; fino a quando non arriva la proposta della sua psicoterapeuta, la “Dottoressa T,” che durante una seduta le dice: “Chiara, le propongo un gioco: per un mese, ogni giorno, per dieci minuti, la invito a fare una cosa che non ha mai fatto in vita sua!

Chiara allora inizia a giocare, e lo fa con serietà: ogni giorno pensa ai suoi nuovi dieci minuti.

Inizia col mettersi sulle unghie uno smalto fucsia, lei che lo smalto non lo metteva mai, o che al massimo lo metteva nero. Lei che il fucsia non lo considerava nemmeno un colore.

Si ritroverà a cucinare pancake per la prima volta, ascolterà i problemi della madre, scoprendo di non averlo davvero mai fatto. Indosserà un vestito di Babbo Natale e farà un giro, così conciata, per le vie della capitale…

Quali sono le riflessioni psicologiche che il romanzo tematizza?

  1. La prima riflessione è la seguente: se ci rifugiamo nel nostro mondo, nelle nostre routine, stiamo rinunciando a un’altra parte di mondo e alla parte di noi che con quel mondo si può relazionare.

E’ questa una delle lezioni che la protagonista apprende: proprio perché scottata dagli eventi del mondo esterno, tende a rifugiarsi nel suo guscio, perdendo però il contatto con una parte importante di ciò che la circonda.

Compiere anche solo 10 minuti di attività extra ordinaria ci consente di scoprire il mondo dal quale fuggiamo, imparando che se smettiamo di delegare molte attività che ci sembravano in origine non interessanti o non adatte a noi, in realtà possiamo aggiungere un diverso valore alla nostra vita.

Chiara, infatti, nella storia narrata, si rende conto che quelle abitudini a cui siamo tanto stretti, e che se ci vengono tolte ci fanno sentire tanto smarriti nel mondo e in noi stessi, forse non sono dei confini, ma dei limiti per la nostra persona e la nostra individualità.

Spronandoci invece a fare cose nuove, è come se iniziassimo a dialogare con parti di noi che pensavamo non esistenti, o che fossero atrofizzate.

Proviamo a pensare da quanto tempo è che non facciamo una cosa per la prima volta.

Da bambini facciamo quasi tutto, per la prima volta: impariamo ad allacciarci le scarpe, a lavarci i denti, a leggere…

Quando diventiamo adulti, invece siamo troppo abituati a fare le solite cose, spesso a dire le solite cose, ci rifugiamo nei soliti luoghi comuni, sicuri e protettivi.

Pensiamo invece a cosa significa “allenare” il nostro cervello a trovare ogni giorno una cosa nuova da sperimentare, è un aiuto incredibile per la nostra mente, anche per mantenerla giovane e attiva!

Come mai, allora, tendiamo a fare le solite cose? A ripetere gli stessi schemi, gli stessi copioni?

Tutto ciò che è per noi conosciuto e familiare ci risulta sicuro e rassicurante.

L’essere umano funziona secondo un principio di coerenza interiore: tutto ciò che conosce, tende a ripetere, o a ricercare.

Purtroppo, talvolta, tendiamo a ricercare anche situazioni che ci fanno soffrire, che non rispondono ai nostri reali bisogni, eppure, essendo ciò che conosciamo bene, ne siamo fortemente attratti.

Cosa accade, invece, quando iniziamo a cambiare?

Qual è l’effetto del gioco?

Una conseguenza importante del cambiamento, e del gioco dei 10 minuti del libro, è l’apertura.

Ogni cambiamento  che mettiamo in atto ci porta ad aprirci agli altri, a noi stessi o a parti di noi che avevamo nascosto sotto tonnellate di sabbia.

La protagonista scopre, attraverso il gioco e dunque attraverso il cambiamento, di non essere poi così male in cucina, di non amare il punto croce: scopre qualcosa che le piace, e in cui si sente brava, e qualcosa che non ama fare; scopre, insomma, qualcosa di nuovo di sé.

L’apertura è anche verso gli altri: gli affetti della protagonista si allargano, non è più chiusa su se stessa.

Grazie al gioco, inizia a vedere gli altri sotto un’altra luce, e al di là del ruolo che hanno nella sua vita.

Inoltre, si renderà conto di quanto di buono e di valore sia già presente nelle sue giornate:  verso la fine del libro la protagonista afferma: “mi ha stupito scoprire che ci sono infiniti modi in cui si possono riempire 10 minuti, ma mi ha stupefatta ancora di più scoprire quel che c’era già”.

Da un lato, “Per dieci minuti” ci suggerisce di sperimentarci in qualcosa di nuovo, di mai fatto, dall’altro ci incita a notare ciò che di positivo abbiamo già, evitando di dare per scontato il nostro quotidiano, e le cose e le persone che ne fanno parte.

  1. Un aspetto importante, toccato dal libro è il concetto di “resilienza”: si tratta della capacità di trarre qualcosa di positivo e di buono per noi, di costruttivo, a partire da una una situazione traumatica, o comunque stressante o difficile.

Questo è quello che succede alla protagonista, e che può succedere ad ognuno di noi.

E’ in effetti proprio grazie alla sofferenza che inizia il suo gioco, e che grazie ad esso, comprende che la vita ha infinite possibilità e che, forse, è proprio dalla fine di ciò che avevamo prima (una persona, una relazione, un lavoro…) che si può ricominciare.

L’aspetto positivo del dolore è proprio questo: esso ci sprona a reagire, e a cambiare in positivo la nostra esistenza.

L’autrice ci mostra come una crisi non necessariamente significhi distruzione o fallimento: dalla crisi possiamo rinascere e diventare creativi, possiamo riscoprirci, ed entrare in contatto con nuove parti di noi.

“Per dieci muniti” è un libro che si legge, volendo, in una giornata; è una lettura arricchente, seppur leggera e piacevole.

Trovo che sia un romanzo in cui tutti noi possiamo identificarci, per qualche motivo, e che, per questo, può aiutarci a trovare alcune risposte, o alcuni spunti di riflessione.

E’ un libro che emoziona e che fa venire la voglia di giocare, di provare davvero a sperimentare il gioco terapeutico in cui la protagonista si cimenta; perciò, se vi va…

…buona lettura, e buon gioco a tutti!!!