RIFLESSIONI INTORNO ALLA VIOLENZA SULLE DONNE
Pochi giorni fa, il 25 Novembre, è stata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Desidero spendere anche io due parole su questo, così da innescare altre riflessioni su questo tema, così atroce, ingiusto, purtroppo troppo frequente.
I dati nazionali dicono che più del 30% delle donne italiane (su un campione di donne tra i 16 e i 70 anni) ha subito violenza fisica e/o sessuale e, nella maggior parte dei casi, si tratta di violenze domestiche, all’interno di relazioni interpersonali significative.
In questo post mi rivolgo in particolare alle violenze che avvengono appunto all’interno di relazioni strette.
Dunque, i sentimenti interni ad una relazione, quali amore e affetto, vengono “sporcati” con la paura, l’impotenza, il senso di colpa.
Teresa Bruno, psicoterapeuta e responsabile del Centro Antiviolenza Artemisia di Firenze, sostiene che lavorare con le donne vittime di violenza significa lavorare sulla relazione; in questo tipo di terapia il terapeuta costruisce con la paziente una nuova relazione significativa, diversa rispetto a quella abusante, e assolutamente riparatoria.
Lo psicoterapeuta deve prendere una posizione netta contro la violenza, qualunque essa sia (sessuale, psicologica, assistita), in quanto spesso la vittima ha le idee confuse rispetto a ciò che è accaduto e a come è accaduto.
In che modo una donna può diventare vittima?
In principio, la relazione che vive è gratificante e positiva; la donna si sente amata e desiderata. Gradualmente, il compagno inizia a dettare regole rigide che richiamano sempre di più la donna a sé, spesso isolandola dal suo mondo e da amici e parenti a volte.
Dopo l’isolamento, di solito, arriva la fase della vera e propria violenza in cui l’abusante ha il controllo sulla vittima attraverso diverse azioni:
- Punizioni di vario genere
- Coercizione e controllo
- Aggressioni fisiche, verbali, psicologiche, pratiche sessuali dolorose, minacce
- Privazioni di cure, di contatto con le altre persone…
- Perversioni
Se poi sono presenti i figli, chiaramente, la questione diventa drammatica.
Il figlio, assistendo alla violenza, inizia a provare sentimenti contrastanti dentro di sé e, spesso, la relazione tra madre e figlio si trova su un piano di uguaglianza, in cui non esiste più una distanza generazionale e, anche i figli, rischiano di diventare vittime.
In tutto ciò, l’universo mentale della vittima è occupato dall’abusante, non c’è più spazio per nient’altro, la sua attenzione è rivolta a lui, nel tentativo disperato di “non sbagliare mossa” e di aderire alle sue assurde aspettative.
Capite bene come queste donne necessitino di essere viste, ascoltate e accolte. Bisogna parlare di violenza sulle donne per aiutarle a sentirsi più legittimate a chiedere aiuto, ad uscire da quel vortice di terrore e passività.